Il bilancio della sanguinosa repressione è di almeno 17 morti, 2000 feriti e innumerevoli arresti, con il rischio di pena di morte per gli oppositori Dopo la folla oceanica che nei giorni scorsi attraversava le strade di Teheran, la protesta è rientrata, per necessità. La polizia e i Pasdaran hanno eseguito gli ordini del Consiglio dei Guardiani, caricando i manifestanti, sparando su di loro e colpendoli con ogni mezzo. I morti sono stati ufficialmente 17, i feriti duemila e non si sa quante migliaia sono state le persone arrestate. La repressione è stata crudele e sanguinosa e c’è da credere che continuerà ad esserlo, perché i video verranno sbobinati e i volti individuati. L’ordine è tornato a regnare a Teheran ed è un ordine poliziesco, ogni desiderio di maggiore libertà è finito o nel chiuso delle case o negli anfratti delle prigioni e stando alle minacce dei capi religiosi coloro che hanno fomentato la protesta rischiano la morte. Alla fine sono spuntati altri martiri, prima fra tutti Neda, la ragazza diciottenne colpita da un proiettile che ora il regime dice sia stato sparato da un reporter occidentale per sviare le responsabilità. C’è da dire anche che i giovani iraniani sconfitti accusano anche i loro genitori che, con la cosiddetta rivoluzione della fine degli anni Settanta, hanno consegnato il loro Paese nelle mani degli ayatollah, da Komeini a Kamenei. A livello internazionale è ormai assodato che le elezioni siano state truccate. Il fatto stesso che sia stato riconosciuto dal Consiglio dei Guardiani – anche se da loro minimizzato – fa capire che il voto è stato fasullo. Al recente G8 dei ministri degli Esteri i cosiddetti Grandi non hanno calcato la mano nei confronti dell’Iran; hanno parlato di “rammarico”, di “deplorazione”, ma non di condanna. La Russia ha imposto la sua linea, ma lo ha potuto fare solo perché anche gli Usa non potevano fare altrimenti dopo l’offerta del dialogo all’Iran. Adesso, dopo le elezioni contestate, le violenze e la durissima repressione, le cose si sono fatte molto chiare. C’è una domanda che in molti si sono fatti durante le proteste: ha fatto bene Obama a offrire il dialogo ad un siffatto regime? Il dialogo è sempre giusto e benvenuto, ma da una parte ha costretto il presidente Usa alla cautela nel giudicare le proteste, dall’altra la dimensione dell’opposizione fa pensare che si contava di più sull’America, se non da parte di Mousavi, quantomeno da parte dei giovani che aspirano ad un mondo di libertà. Ebbene, Obama non poteva fare di più e non può fare di più, soprattutto ora che il regime ha vinto: sarebbe come sconfessare le offerte di dialogo avanzate non più di due mesi fa. Ciò obbliga dunque il presidente americano a perseverare nella politica della mano tesa, ma nello stesso tempo a tutti risulta chiaro che il regime non è interessato al dialogo. Se non ci fossero state né le elezioni, né la repressione il duo Kamenei-Ahmadinejad avrebbe avuto buon gioco a ritorcere contro Obama il bastone e la carota, cioè continuare a costruire le armi nucleari facendo qualche concessione verbale, giusto per dare un contentino all’Occidente. Ora, invece, il gioco è a carte scoperte. Conviene ad Obama sostenere di fatto un regime che ricorre in politica interna alla repressione sanguinosa e all’imbroglio e in politica estera alla destabilizzazione? Perché un altro fatto è certo: quando l’Iran avrà le armi nucleari, le userà per accrescere la sua potenzialità di ricatto nella regione. Si capisce perché nei giorni scorsi nei commenti degli esperti ogni tanto faceva capolino la parola “bombardamento”. In sostanza, data la gravità della situazione e soprattutto i possibili foschi scenari del futuro, ci si domanda se ad Obamanon convenga riprendere in mano l’iniziativa bombardando i siti nucleari iraniani. Ciò non solo non verrebbe giudicato negativamente dall’opinione pubblica internazionale dopo la sanguinosa repressione del regime di Teheran, ma ridarebbe fiato all’opposizione la quale, se è vero che è maggioritaria nel Paese, potrebbe riprendere in mano la protesta con esiti diversi dai giorni scorsi. Ovviamente, il tempo sarebbe un fattore determinante. Nell’ultimo articolo abbiamo adombrato la possibilità che questo lavoro possa essere fatto da Israele, il bersaglio delle minacce di Ahmadinejad. Non neghiamo comunque che tutta l’operazione sarebbe un rischio enorme, soprattutto perché è prevedibile l’opposizione sia della Cina che della Russia. Il problema, però, è un altro, ed è che probabilmente negli anni futuri si sarà costretti a fare con più pesanti conseguenze ciò che invece si potrebbe fare ora con minori danni.
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