Poco più di due anni fa uscì, per i tipi di Rubbettino, una mia pubblicazione dal titolo Siamo molto popolari. Controstoria di una riforma che arriva da lontano e porta all’oligopolio bancario. Dal pensiero unico internazionale che ammorba, con poche eccezioni, la stampa italiana, la pubblicazione fu accolta, ovvio, con fastidio, e con repliche indirette. Ma la sua attualità è più viva che mai. In appendice a quel mio libro, pubblicavo i dati (aggiornati al momento) relativi ai principali azionisti (i primi 30, salvo un caso) delle più importanti banche italiane. BlackRock (com’è noto, statunitense) risultava presente in tutte (tutte) le anzidette banche, assieme a una marea di fondi/banche di investimento appartenenti a Paesi esteri, l’Italia essendo, il più delle volte, rappresentata da banche a loro volta controllate da capitale straniero.
Da allora ad oggi, le cose sono cambiate in peggio. Si sono distrutte più banche territoriali che s’è potuto (fino al punto di anticipare, per decreto legge, un bail-in camuffato), anche svendendole per pochi euro. Tutto, nella consapevolezza che sono proprio le banche locali (come sanno i territori che le hanno perse) che mantengono la concorrenza fra banche. Tutte le banche colpite dalla riforma contro le Popolari, sono ora (e si sapeva bene che sarebbe capitato così) in mano ai fondi speculativi esteri (che non tengono certo alla stabilità del sistema). Ci sono stati, è vero, anche casi di malversazione, ma quando ciò ha riguardato una grossa banca da sempre governata dalla sinistra, si sono subito trovati tanti soldi dello Stato (cioè dei contribuenti) per salvarla e, quasi quasi, non ci si è neppure accorti che (di fatto) fosse fallita. Adesso però, le cose sono cambiate. Improvvisamente, ma non per tornare a difendere le banche territoriali come nell’Italia liberale (solo le Popolari erano più di 200, trasformarono un Paese agricolo in un Paese dalle solide basi industriali).
Sono cambiate per difendere le grosse banche, che hanno fatto strame di quelle più piccole di loro. Insomma, ora il monopolio si è allargato a dismisura, che vi sono territori nei quali la concorrenza (e il credito alle pmi) è completamente saltata, ora viene dunque cantata una messa del tutto diversa. La concorrenza ora va difesa e l’invasione estera è, guarda un po’, il peggiore dei mali. Curioso (ma neanche troppo, è solo logico a ben guardare), ma è così. Ecco dunque che il governo dichiara per decreto legge – urgente e dato il Covid (ma nessun giornalone, ovvio, lo ha scritto) – il governo, dicevo, ora dichiara che le banche sono diventate, quatte quatte, un “settore strategico”, alle quali si applica il golden power, istituito già otto anni fa e che nessuno (dico, nessuno) ha mai neppur pensato si potesse estendere alla materia finanziaria e creditizia. Ma non è tutto.
Adesso, una grande banca (di quelle che han sempre detto che le piccole andavano eliminate e, possibilmente, comperate a 1 euro) è andata in audizione all’Antitrust a dire che l’acquisizione di una banca (una che aveva fatto fuori molte altre più piccole, fin che è venuto il suo turno) da parte di un’altra, sarebbe, udite udite, “dannosa per la concorrenza bancaria”. Capito? Solo ora si valorizza la concorrenza, prima era cosa inutile. Ora bisogna aiutare la finanza internazionale che controlla le banche “italiane”, bisogna darle la possibilità di rafforzarsi ulteriormente. La concorrenza va bene solo tra amici (oligopolisti). Quanto all’argomento, di pretesi tecnici, che le Popolari non sarebbero scalabili, e che andavano soppresse per questo, rimandiamo all’ultima relazione del presidente Consob, Paolo Savona, si scopre che neanche la gran parte delle quotate sono più scalabili! Insomma, cambiati i padroni delle banche, tutto con loro è cambiato. Quello che prima non andava bene, adesso va benissimo. Paradossale.
Corrado Sforza Fogliani
presidente Assopopolari
Articolo uscito prima nella rubrica “Contrarian” di Milano Finanza, 2 luglio 2020