Come ridurre l’impatto di una delle industrie più inquinanti al mondo?
Riciclare non basta: è la conclusione del report ‘Fashion at the crossroads’ pubblicato da Greenpeace, secondo cui le strategie adottate finora non hanno ancora prodotto risultati efficaci in termini ambientali. Il recupero dei rifiuti e l’eliminazione delle sostanze tossiche dai vestiti non potranno mai portare a risultati significativi se non si inizierà a ragionare anche in termini di minor impiego di materie prime.
L’organizzazione ambientale che lotta per una moda più pulita e consapevole, ritiene infatti che sia il caso di cambiare l’intero modo di concepire l’abbigliamento, iniziando ad adottare soluzioni in grado di allungare il ciclo di vita dei materiali e degli abiti per minimizzare la produzione di rifiuti tessili. Nel rapporto ‘Fashion at the crossroads’ Greenpeace propone centinaia di esempi di alternative al modello corrente di industria della moda, colpevole di consumare troppe risorse, indicando una vasta gamma di soluzioni già praticate che, messe insieme in un quadro coerente, aiutano a disegnare un futuro più sostenibile per la produzione di tessuti e abiti.
Il rapporto è stato presentato in occasione della Settimana della Moda di Milano alla presenza di rappresentanti di piccole e medie imprese europee che stanno intraprendendo un percorso che si allontana dal consumo eccessivo di capi d’abbigliamento che hanno un impatto ambientale non sostenibile. Da anni ormai Greenpeace porta avanti la campagna Detox per l’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose dal tessile, campagna alla quale hanno finora aderito circa 80 marchi internazionali, tra i quali più di 50 realtà tessili italiane. Tutto ciò rischia però di essere rovinato da una economia circolare ancora immatura in cui la produzione tessile globale continua a crescere esponenzialmente e il riciclo avviene prima di aver eliminato le sostanze chimiche pericolose.
Nei Paesi in cui il consumismo eccessivo è predominante, la stragrande maggioranza degli abiti a fine vita viene smaltito insieme ai rifiuti domestici finendo nelle discariche o negli inceneritori. “Il nostro scopo è fornire una risposta critica all’economia circolare così come propagandata dai grandi marchi della moda. Il Pulse report, recentemente presentato al Copenhagen Fashion Summit, prefigura un futuro circolare nel quale il settore sarà ancora più dipendente dall’inquinante poliestere, senza affrontare il nodo del consumo eccessivo di capi d’abbigliamento e del conseguente calo della loro qualità e durata” spiega Chiara Campione, Senior Corporate Strategist di Greenpeace Italia. “L’economia circolare è sulla bocca di tutti, ma dietro questa bella etichetta si nasconde il sogno impossibile dell’industria che la circolarità possa risolvere il problema di un consumo eccessivo di risorse. In ogni caso dobbiamo consumare meno perché il riciclo al 100 per cento è una chimera!” ha concluso la Campione. Secondo Greenpeace si devono cercare cercano modelli alternativi di business, migliorare il design dei prodotti per allungarne il ciclo di vita, favorire il loro riciclo e dare una nuova vita ai prodotti. Fondamentale sarebbe poi ridurre l’uso di fibre sintetiche economiche come il poliestere e in generale di fibre derivanti dal petrolio, per affrontare adeguatamente il cambiamento climatico e la protezione degli oceani.
Bisognerebbe poi sviluppare e coordinare adeguati programmi di ritiro degli abiti usati nei negozi (take-back), in maniera sistematica e non occasionale È anche ora che venga adottata una normativa sulla responsabilità delle aziende che preveda il ritiro obbligatorio dei prodotti a fine vita, per evitare che finiscano in discarica o all’inceneritore, e che premi chi si impegna sul fronte della riduzione dell’impatto ambientale del prodotto.
[email protected]
foto: Ansa