L’Europa che vogliamo: insieme e solidali verso l’avvenire
Le elezioni europee sono alle nostre spalle. Alcuni risultati sono esaltanti. E soprattutto per i convinti europeisti. Altri, meno.
Taluni, di assoluto effetto negativo. Ci ha incoraggiati all’ottimismo il dato italiano: lo straordinario risultato del nuovo partito democratico e l’indubbio successo personale del suo leader, Matteo Renzi, unito alla sconfitta dei movimenti eurofobi e dei demagoghi di ogni risma. La saggezza del nostro popolo ha sconfitto le sirene del disfattismo rappresentate, per l’occasione , dai Grillo e dai Salvini, dalla Meloni dei “ Fratelli d’Italia” e da quel Berlusconi ridotto ad un ruolo ininfluente e comprimario. L’Italia, grazie al successo delle forze di rinnovamento, è a un crocevia della sua storia. La forte partecipazione democratica al voto ( vicina al sessanta per cento), anche se inferiore rispetto al passato, è la più alta rispetto a tutti i paesi dell’Unione. Dà al nostro paese la caratura all’altezza di guidare, con mano sicura, l’Unione nel secondo semestre del 2014. Due personalità escono rafforzate dalla consultazione del 25 maggio scorso: Matteo Renzi e Angela Merkel.
L’anti europeismo, idealizzato nel rifiuto dell’Euro, colpevole, secondo i demagoghi nostrani, di ogni e qualsiasi male di cui è pervasa l’Unione, ha sempre avuto dei tratti anti tedeschi, frutto di retaggio storico e invidia per una grande nazione che ha saputo rinnovarsi e vincere la sfida della sua unità. Sta a loro due ricucire le divisioni esistenti e indicare il processo virtuoso per uscire dall’attuale impasse. Riprenderà la fiducia se ogni leader ritroverà il coraggio della sfida: una politica per rilanciare gli investimenti pubblici a favore della crescita e delle nuove generazioni. L’Europa come esempio di convivenza e fratellanza dei suoi popoli. Un nuovo protagonismo sulla scena mondiale a difesa della pace e della cooperazione internazionale.
Non commettiamo l’errore del 2005 quando , di fronte al rifiuto del popolo francese del trattato costituzionale elaborato dalla costituente, alla cui presidenza vi era una delle massime personalità politiche francesi, Valeri Giscard d’Estaing, lanciammo i nostri strali contro gli elettori del paese transalpino. Il massiccio rifiuto di Europa dei francesi viene da lontano: dal risicato si a Maastricht nel 1992, si passa al chiaro no del 2005, per terminare con il trionfo lepenista del 25 maggio scorso. Non vi possono essere dubbi: nel rifiuto dell’Europa vi è qualcosa di tragico e antico. Dovremmo amare l’Europa poiché essa rappresenta la pace, gli scambi Erasmus delle giovani generazioni europee, i viaggi easyJet, la cittadinanza della nuova frontiera. Ma non siamo innamorati dei burocrati di Bruxelles come i giovani del sessantotto non lo erano dell’aumento del tasso di crescita immiserito dall’ imperante egoismo nazionale e personale di allora. Infine, dovremmo amarla, l’Europa, perché rappresenta la forza dell’unità: senza di essa vi è la guerra, il caos economico, il decadimento, un ruolo insignificante in un mondo globale. In Francia, purtroppo, lo spettro negativo contrapposto alla propaganda di Marine Le Pen non ha spaventato gli elettori. Rimarrebbe, allora, un unico metodo già adottato, la strategia dei piccoli passi sperimentata da Jean Monnet:
costruire l’Europa in sordina e senza consultare i popoli attendendo pazientemente il prevalere della forza dei risultati. Siamo, per caso, incoscienti dinnanzi alla collera degli elettori. Da una settimana ci arroventiamo sui numeri dell’antieuropeismo, come i nostri fratelli d’oltralpe fecero dopo il 21 aprile del 2002 delle elezioni presidenziali francesi con il candidato padre Le Pen. Tuttavia, passata l’emozione, torneremo alle vecchie abitudini. Siamo indotti a pensare che gli estremisti anti europei non potranno bloccare il parlamento di Strasburgo, rappresentato , maggioritariamente, dai due grandi schieramenti storici, i socialisti democratici e i cristiano popolari.
Quanto agli eurofobi inglesi dell’UKIP di Nigel Farage, i nuovi alleati del Beppe Grillo nazionale, che vogliono l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa, ci permettano una grande risata: si battono contro un fantasma dell’ Unione dagli inesistenti mulini a vento del leggendario don Chisciotte. Non sono nell’Euro, né hanno adottato il trattato di Schengen, i terribili diavoli di Marin Le Pen per la Francia, e trovano ancora da ridire. Vi sono più controlli per l’imbarco sull’Eurostar Parigi – Londra che allo sbarco a New York
Battono alla porta di una fortezza per voler uscire nel momento in cui sono già fuori. There is no alternativ.e
Non neghiamo l’impopolarità dell’Europa, dovuta alla mancata crescita, alla disoccupazione di massa, al dramma dell’immigrazione. Ma a ben guardare da vicino, non è l’Europa, la malata, ma tanti paesi dell’Unione. In testa la Francia, la Gran Bretagna, la Grecia. Occorre uno sforzo creativo per un nuovo virtuoso cammino di riforme. Non è perché in alcuni paesi europei le forze europeiste sono minoritarie che esse hanno torto. E d’altronde, chi scrive, per storia e tradizione, ha sempre provato simpatia per le cause, apparentemente, perdute. Prima o poi. Speriamo prima che poi, prevarranno le forze della ragione e dell’unità europea. L’unità per riprendere il cammino indicato dai padri fondatori: insieme e solidali verso l’avvenire.