La collaborazione tra neuroscienze e genetica ha consentito di identificare ‘i geni della buona memoria’
La memoria permette all’uomo di conservare le conoscenze acquisite durante il corso della propria vita. Le informazioni devono essere custodite in una forma transitoria (memoria a breve termine), che si forma rapidamente e dura solo per minuti o alcune ore. Per persistere giorni, mesi o anni, queste informazioni devono essere successivamente trasformate in una memoria a lungo termine.
Il consolidamento della memoria coinvolge l’azione di moltissimi geni che agiscono di concerto, come una grande orchestra perfettamente coordinata.
Secondo una ricerca presentata nella conferenza annuale della società di neuroscienze cognitive americana (CNS), a San Francisco, il segreto della memoria è racchiuso in poco più di 100 geni, identificati grazie alla correlazione tra i dati genetici e l’attività del cervello nel processo di elaborazione dei ricordi.
“Siamo più vicini a capire i meccanismi molecolari della memoria”, ha osservato Genevieve Konopka, dell’Università texana Southwestern, autrice della ricerca con Evelina Fedorenko, del Massachusetts General Hospital. “È uno dei primi risultati ottenuti in un nuovo campo di ricerca, la ‘genetica per immagini’, che mette in relazione le variazioni dei geni con quelle anatomiche e delle funzioni del cervello: i geni modellano l’anatomia e l’organizzazione del cervello’, ha chiarito Fedorenko.
La ricerca puntava in particolare ad identificare geni importanti per alcune funzioni cognitive complesse, come la memoria e l’apprendimento, partendo da una serie di studi precedenti che avevano evidenziato come in presenza di deficit cognitivi alcuni geni non funzionano normalmente. I ricercatori hanno sfruttato grandi banche dati di immagini del cervello e altri dati raccolti negli ultimi dieci anni su campioni di tessuto cerebrale nei quali sono andati a cercare le molecole di Rna, considerato un importante indicatore dell’attività genetica, e tracciati dell’elettroencefalogramma di persone con l’epilessia mentre eseguivano compiti di memorizzazione.
Questo approccio ha permesso di identificare i geni che regolano la memoria nell’uomo, diversi da quelli già individuati in altre attività cognitive e in stato di riposo. Questi geni della memoria si sovrappongono inoltre ad altri associati all’autismo, il che significa “che abbiamo identificato una finestra nei percorsi molecolari importanti per le normali funzioni di memoria, che sono a rischio nell’autismo da un punto di vista genetico”, ha concluso Konopka.