Quota 100 e Pensione di cittadinanza per risolvere il problema delle pensioni
A sistemare le cose entrerebbero in gioco sul sistema pensionistico la Quota 100 e la pensione di cittadinanza. Per quanto riguarda la prima, la Quota 100, è stata portata avanti dal vicepremier Matteo Salvini e sarebbe una prima azione per arrivare alla demolizione della legge Fornero. Con la Quota 100 viene ridotta l’età di ritiro dal lavoro dando la possibilità per i lavoratori di andare in pensione quando la somma dell’età anagrafica e degli anni di contributi versati è pari almeno a 100. Possono poi essere previsti dei paletti riguardo all’età minima di uscita e a un minimo di anni di contribuzione. Il vicepremier leghista punta “al massimo” a 62 anni di età e 38 di contributi, mentre al Tesoro si punterebbe su 64 anni e 36 di contributi.
Insieme alla Quota 100, si parla anche di Quota 41, la misura che consente di andare in pensione, indipendentemente dall’età anagrafica, una volta maturati 41 anni di contributi. Entrambe le misure sarebbero a favore di un maggiore inserimento dei giovani nel mondo del lavoro favorendone, quindi, il ricambio generazionale. “Quei posti di lavoro verranno occupati da ventenni che diversamente al momento sono costretti a scappare all’estero” spiega Salvini.
Il M5s, invece, sul piano previdenziale, si batte per la pensione di cittadinanza, ovvero l’allineamento graduale dell’assegno dei pensionati indigenti (in totale 4,5 milioni) a quota 780 euro mensili, valore che l’Istat considera come soglia di povertà. La misura “è nel contratto di Governo”, ha spiegato il vicepremier Di Maio. ”Tutti coloro che vivono sotto la soglia di povertà dovranno arrivare a 780 euro”. “Avere una pensione per sopravvivere un intero mese è un principio di civiltà”, ha ribadito Di Maio. Secondo quanto promesso dal leader pentastellato, dal 1° gennaio 2019 scatterà l’aumento. Ma il MoVimento non si dimentica neanche di una battaglia importante, quella che riguarda il taglio delle pensioni d’oro. La misura, finalizzata ad “una maggiore equità sociale”, riguarderebbe gli assegni pensionistici superiori ai 4mila euro non giustificati dai versamenti contributivi, che porterebbero però una cifra esigua, circa qualche centinaio di milioni di euro.
foto: Ansa