Era su razzo Antares esploso nove mesi fa, ritrovato intatto
“Post fata resurgo” recitava il motto latino dell’Araba Fenice, che dalle proprie ceneri addirittura risorgeva. Ma potrebbe essere oggi il motto dello strumento scientifico italiano Drain Brain, uscito miracolosamente incolume dall’esplosione di un razzo orbitale alto 42 metri e pesante 240 tonnellate. Nove mesi fa, precisamente alle 23.22 (ora italiana) del 28 ottobre scorso, il vettore Antares della Orbital Science Corporation si staccava dalla sua rampa di lancio a Wallops Island, in Virginia. Tutto come previsto, al netto del ritardo di un giorno causato dalla presenza di una nave all’interno del perimetro di sicurezza. La missione, terza nel suo genere per questo vettore privato: portare sulla Stazione Spaziale Internazionale la capsula cargo Cygnus CRS-3, con a bordo 2200 kg di materiali destinati agli astronauti e, tra questi, anche due strumenti scientifici destinati a Samantha Cristoforetti: Wearable Monitoring e Drain Brain, due dei cinque esperimenti di ricerca umana dell’Agenzia Spaziale Italiana per la missione Futura.
Appena una manciata di secondi dopo il lift-off, ricorda proprio l’Agenzia Spaziale Italiana, la parte inferiore del razzo esplode in volo e il vettore si accascia sulla rampa di lancio. Qui i propellenti (solidi e liquidi) causano una seconda, gigantesca, esplosione e un grande incendio che avvolge le strutture di terra per diversi minuti. Fin qui la cronaca che tutti conoscono (gli strumenti per gli esperimenti furono poi ricostruiti e correttamente portati sulla ISS con un lancio successivo a gennaio 2015). Quello che invece non tutti sanno è che qualche tempo fa la Nasa ha comunicato all’Asi di aver ritrovato sulla spiaggia vicina alla zona di lancio la valigetta – bruciacchiata – contenente uno dei due esperimenti (Drain Brain, appunto), concordando la spedizione di questi materiali all’istituto scientifico dell’Università di Ferrara che aveva sviluppato l’esperimento. Qui la seconda sorpresa. Aprendo la valigetta che riportava gli inequivocabili segni del fuoco, il team del professor Paolo Zamboni ha trovato lo strumento perfettamente intatto. Una sorpresa che si è trasformata in stupore quando lo stesso strumento si è regolarmente acceso al primo tentativo, senza mostrare alcun segno del disastroso incidente che lo aveva coinvolto. Oltre allo strumento Drain Brain, anche il Pressurized Cargo Module (PCM) e la borsa in Nomex sono di costruzione italiana. Quest’ultima, realizzata dalla Kayser Italia di Livorno, è stata fornita agli sviluppatori dall’Agenzia Spaziale Italiana. Il PCM del Cygnus è stato invece progettato e costruito negli stabilimenti di Torino della Thales Alenia Space Italia.
Askanews