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30 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

Passioni e ricordi del tempo che fu

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Il treno. Il viaggio. Una lettera.

Una levataccia.
In tempo per salvare la coincidenza del regionale che mi porta verso Grenoble. Chambery, la mia amata Chambery, sembrami, alle sei della brumosa mattina, la bella addormentata in attesa della coltre bianca che l’ha fatta, nei secoli, la regina della Savoia alpina. Mi assalgono i ricordi di quando fui ospite, in gioventù, per pochi mesi, dei leggendari bucherons originari della valle amica.
Saint  Remy de Maurienne con le sue rigogliose pinete a cui non pareva vero, ai miei valligiani, rubare un po’ di robusti virgulti per riempire i deschi delle industriose maisons della regione. L’albero amico, talmente maestoso e imponente, quanto mite e remissivo ai desideri dell’uomo da sembrarti cosciente del suo destino, intuendone, forse, la meta.
A me piace, quando sono in viaggio, che sia il Freccia Rossa, o il trenino rosso, Glacier Express, che dalla bassa Valtellina ti porta sino al paradiso del  pass  Bernina e oltre verso la St. Moritz dei miliardari amanti della montagna, assopirmi un poco senza per questo perdere la lucidità di sognare il mondo fantastico che tu pensavi di aver raggiunto nel mentre osservavi, assieme a tanti tuoi compagni, la fata morgana del sol dell’avvenire.  Poveri noi!, che pensavamo di cambiare il mondo mentre lui ha cambiato noi lasciandoci nudi alla meta.
Nessuno sa cosa ci porterà il futuro e nemmeno sappiamo cosa ci riserva il passato, per usare la celebre affermazione di bonjour tristesse, Francoise Sagan. Per lei, forse, uno scritto dimenticato nello scrigno dei nonni nella magione antica dei suoi avi, per me, chissa?, la scoperta di un pudico sentimento di  giovinetta a cui non sapesti scrutare negli occhi e leggere il più umano pensiero d’amore.
Fu Benigni, il giullare tuttora vivente – l’altro, Dario ( Fo), se ne è andato, lasciandoci l’eco di un ultimo buffo mistero – a dirci che, in fondo, bastava un solo comandamento, lo scritto di un unico armonico idioma: amore.
Un raggio di sole mi riporta al destino terreno. Fra poco sarò a Grenoble per rivivere ricordi di vita vissuta e persino quella mattina d’Agosto in cui affrontai, partendo da Bourg- d’Oisans,  l’ascesa all’Alpe d’Huez rimanendo , schiantato e disfatto, al curvone che porta il nome di uno dei tanti ciclisti che aggredirono, vincendo, l’ascesa alla vetta: Joop Zoetemelk.
Non v’è più molto tempo. Riordino il tutto, e controllo il contenuto di alcuni bustoni che ancora non ho aperto.
Mi attira una busta, minuta e sottile, inviatami dagli amici de “ la pagina” contenente una lettera ancora non letta.
Talvolta capita e non sempre la lettura rasserena il mio animo.
Vabbè!. Lo leggo e rileggo. D’altronde, lo scritto è breve. Ben messo , a mano,  da apparire rispettoso di tali pensieri

Ricordi
Carissimo Gianni Farina,
sono la compagna Franca da Romanshorn /Tg. Non ti ho mai dimenticato, devo con questa mia ringraziarti per il tuo lavoro indefesso, per la tua capacità d’espressione, per il massimo tuo impegno, per il tuo grande cuore nei confronti di tutti noi e per la tua intelligenza al massimo. Sono abbonata a “ la pagina”, ma la prima cosa che leggo è ciò che scrivi tu. Indipendentemente che apprezzo molto “la pagina” e i suoi collaboratori ed anche a loro la mia riconoscenza.
A te, caro compagno, e a tutti, un abbraccio.
Franca Aresi Galiandro

Sì, carissima Franca, ricordo. E mi scuserai la commozione, e forse una lacrima che si arresta di sotto le fosse degli occhi ormai stanchi del tanto scrutare oltre l’orizzonte in cui cercavamo il bene per tutti.
E ricordo come, accanto al marito, arrivavi, come allora si usava, vestita di festa ai tanti convegni in cui cercavamo risposte non certo banali, per risolvere i tanti problemi dei nostri emigrati.
Noi eravamo cosi: sognatori e naif, rispettosi di chi era accanto, come a me rispondeva il saggio Primiceli del Salento di Puglia, quando commentavo il colore della rossa cravatta come fosse un cimelio a indicare il cammino, la storia.
Franca, non merito l’elogio che è dentro il tuo scritto. E un po’ mi imbarazza.
Mi chiedo il perché e annoto un’ unica e vera risposta.
Ho sbagliato. Errato in mille giudizi, per non parlare di tante e presunte certezze e speranze finite nel nulla.
E tuttavia, non ho mai fatto del male ad alcuno. Ho cercando di costruire quel senso di appartenenza che era ed è stato il segno grande della nostra “Storia”.
Qualcosa è rimasto. Ha sconfitto l’oblio.
Grazie, carissima Franca, con un forte abbraccio. In fondo, non abbiamo vissuto invano.

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