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23 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

Que viva Tarsia con tutti i suoi eroi

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Ricordi di ragazzo di una tragedia del 28 febbraio 1940

Livio Dorigo, il presidente del Circolo di Cultura Istro-veneta “Istria”, che io conobbi alcuni anni fa, in occasione di una mia visita in terra istriana, ha reso pubblico questo suo scritto, ripreso da diverse testate istriane e dell’emigrazione italiana nel mondo.
“Contrariamente ad una diffusa convinzione, non è lo scoppio di Marcinelle la peggiore catastrofe mineraria italiana occorsa in Belgio.
La tragedia altrettanto e più grande, per quanto riguarda le vittime italiane, fu quella di Arsia – Astra il 28 febbraio del 1940, all’interno di quello che allora era territorio nazionale italiano, con 185 morti.
Stando ai rapporti dei reali carabinieri, il terribile incidente fu causato dalla riduzione delle misure di sicurezza legata allo sconsiderato sfruttamento della miniera.
Lo scoppio della guerra aveva causato il blocco navale delle carboniere tedesche dirette in Italia ancora non belligerante, ma ormai decisa a schierarsi con Hitler.
Le vicende postbelliche hanno prodotto una rimozione sui morti dell’Arsa: i caduti sono stati considerati croati dall’Italia, italiani e per di più fascisti, dai Croati.
Nel bacino dell’Arsa, il più grande impianto estrattivo d’Italia, i caduti furono croati, sloveni, italiani della toscana e di Sardegna.
Significativo il discorso fatto dall’allora presidente del consiglio Alcide De Gasperi. Pronto ad accettare le dolorose rinunce territoriali richieste dalla Iugoslavia ma non a cedere gli impianti dell’Arsa.’Noi siamo disposti a cedere nel limite del possibile i diritti e gli interessi iugoslavi, ma non sarebbe equo che le miniere dell’Arsa, che potrebbero rendere all’Italia l’80% della produzione nazionale di carbone, le vengano tolte’.
Proprio per la perdita di queste risorse nell’immediato dopo guerra l’Italia dovette vendere al Belgio migliaia di lavoratori come carne di miniera in cambio di carbone.
E per questo si può dire che Marcinelle è in qualche modo figlio dell’Arsia”.
Quanto racconterò oggi sono i ricordi di un giovane di 14 anni,
Nel 1941 ero a Fiume con mia madre e mio fratello Ninni e stavo terminando le scuole medie. Ricordo quindi quanto mi disse mio padre, che aveva assistito alla tragedia mineraria. E partecipato alle squadre di salvataggio. La miniera aveva quasi raddoppiato la produzione di carbone dietro richiesta della Germania.
Furono trasferiti dal Sulcis all’Arsia diverse centinaia di minatori sardi.
Dopo averli militarizzati, come del resto erano militarizzati i lavoratori istriani.
A posto di due turni di produzione e uno di manutenzione e di controllo, venivano fatti tre turni di produzione.
I controlli, in particolare quelli grisumetrici, atti a determinare la quantità di grisù nelle gallerie erano saltuari.

Anche le squadre di sicurezza erano impegnate nella produzione e i minatori portavano con se le lampade grisumetriche. Il contesto nel quale si svolse la tragedia mineraria era molto pesante.
Con i salari ricevuti dai minatori non si arrivava alla fine del mese. Per cui, negli spacci, si acquistava a credito facendo segnare sul leggendario libretto nero.
L’avversione verso il governo fascista era aumentata con la guerra mentre aumentava l’oppressione politica contro la popolazione in prevalenza slava.
Chi protestava per questa situazione veniva immediatamente trasferito in Sardegna.
I minatori sardi erano solidali nella protesta con i minatori istriani. Il risultato era che ogni primo maggio, malgrado la sorveglianza dei fascisti, tanto sul pozzo principale di Albona, che su quello di ventilazione di Vines – Stemaz, sventolava la bandiera rossa.
Sugli edifici della miniera e nel villaggio minerario di Arsia appariva la scritta “Cova je nasa” in dialetto slavo, che significa la miniera è nostra in italiano.

Gli antifascisti attivi erano guardati a vista dalla milizia fascista e dalle forze di polizia e non venivano arrestati solo per il fatto che la produzione di carbone non doveva calare nemmeno di un quintale.
Tuttavia, i pestaggi da parte dei fascisti erano frequenti come le ripetute punizioni e umiliazioni quotidiane.
Per questo commosso ricordo di una lontana tragedia italiana devo tutto all’amico Graziano Del Treppo, un istriano dal cuore grande, a cui va la mia gratitudine per avere vinto l’oblio sugli eroi di Tarsia caduti per la Patria.

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