Una figura di alto prestigio politico e umano
Mi ero alzato di buon mattino, in tempo per prendere il treno che da Sondrio ti porta verso Tirano, la cittadina di confine tra la Valtellina e la Svizzera. Era domenica, giorno dell’Epifania dell’anno ottanta del secolo passato. Finita la breve pausa invernale, mi apprestavo al rientro a Zurigo per riprendere il lavoro politico per il quale avevo abbandonato ogni mia attività nel campo imprenditoriale della cantieristica. Un nuovo impegno, duro e affascinante, che ti prende alla gola.
Dà il senso della vertigine che ognuno di noi prende sull’orlo di un burrone o nella scalata, come usavo da giovane alpinista, sempre in bilico tra il successo dell’ascesa o una catastrofica scivolata verso il basso sperando nella solidità di quel maledetto chiodo che hai conficcato nella roccia e nella tenuta della cordicella avvolta al tuo corpo. A Tirano ero salito sul Glacier Express, il treno lumacone, come lo chiamano i valligiani delle due parti di confine: per la sua storica lentezza e quei giri a spirale da fartelo sembrare sempre allo stesso punto dell’ascesa verso il culmine del Bernina. L’ho preso tante volte, quel rosso trenino. Nella Valposchiavo, attraversi un mondo irreale, da fiaba antica e fuori dal frastuono e dai travagli della storia moderna.
Poschiavo, il villaggio adagiato ai mille metri della valle in un tratto di falsopiano, prima della salita finale verso il passo, è un presepe vivente, ancora addobbato, per l’occasione, di fantasmagorici colori natalizi. Ai primi raggi di sole, impressiona il luccichio della neve su quei tetti a spiovere di piode marmoree parzialmente coperti di neve, sovrastati dall’alto campanile che si erge al centro del borgo a segnarne il dominio, la tradizione e la memoria collettiva del suo popolo. Avvolto nei miei pensieri, non mi accorgo che l’ora è trascorsa prima dell’apparizione del ghiacciaio del Morteratsch, già macchiato, purtroppo, dall’usura del tempo. Da ragazzo, l’avevo ammirato nella sua imponente discesa sino al fondo valle. Ora, si è come rannicchiato un poco più su, come usa fare l’infante nel sonno. È lassù, oltre i duemila metri del monte, che, orecchiando il gracchiare di un minuto transistor, come si usava allora, apprendo dell’assassinio di Piersanti Mattarella, l’allora presidente della regione Sicilia. La notizia riconferma la strategia eversiva volta all‘annientamento dell’Italia democratica.
I delitti di Aldo Moro, lo statista democristiano fautore dell’apertura e del dialogo a sinistra, e di Guido Rossa, l’eroico operaio di Genova abbattuto dalle B.R., erano alle nostre spalle. Continuava la stagione dell’infamia e dei delitti politici e mafiosi. Solo due giorni dopo, nel pieno delle cerimonie funebri di Piersanti Mattarella a Palermo, tre poliziotti, a guardia di una scuola, vengono abbattuti a Milano in pieno giorno. Un mese più tardi cade, sotto i colpi dei sicari, il giurista e docente universitario alla sapienza di Roma, Vittorio Bachelet. Ancora più in là, il due agosto, avverrà poi la strage di Bologna su cui ancora non si è fatta piena luce. Tristi, terribili, quegli anni. Ricordo tutto ciò, nel mentre voto per Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Il tremolio della mano attesta l’emozione del momento. So – siamo alla quarta votazione – che il turno è decisivo.
Apprenderò, poche ore dopo, a scrutinio concluso, di essere tra i 665 grandi elettori che l’hanno chiamato al supremo magistero dello stato. Sergio Mattarella, fratello di Pier Silvo, di cui ha raccolto l’eredità politica e morale, senza mai utilizzare, a proprio favore, il terribile dramma famigliare. Altri ne hanno evidenziato la personalità, il carattere schivo, la misura delle parole, l’assoluta integrità. Parlo di come l’ho conosciuto nelle aule parlamentari, nella giunta delle elezioni e nella commissione esteri della camera dei deputati. Svolgeva il ruolo di capogruppo con un tratto di umanità e rispetto a me sconosciuti in altri ambienti della politica. Sconfiggeva la mia timidezza dell’esordio, incoraggiandomi a intervenire su ogni argomento in cui, a suo giudizio, potevo dare un contributo.
Fu il protagonista, nella giunta delle elezioni, del processo Previti, l’ indegno rappresentante nel parlamento repubblicano. Per me, è stato e rimane un maestro. Non proveniva dalla mia esperienza politica. E ciò, è ancora più importante. Auguri, mio caro presidente. Auguri a te e alla nostra Italia