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29 April 2024
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Italiani in Svizzera

Italiani in Svizzera: Nicolino Sapio

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sapioRaccontaci di te…

Mi chiamo Nicolino Sapio, sono nato a Vasto, nella provincia di Chieti nel ’71, ma ho sempre vissuto nelle Marche, quindi sono più marchigiano che abruzzese. Dopo la terza media sono venuto in Svizzera con mio padre e ho cominciato a lavorare come lavapiatti. Mio padre mi aveva proposto di venire a fare qualche mese in Svizzera, da allora sono trascorsi 30 anni.

Eri giovanissimo quando sei arrivato. Qual è stato il primo impatto?

È stato terribile, era un altro pianeta. La differenza più grande certamente è stata la lingua, poi io avevo tanti amici in Italia e arrivare in un posto dove non conosci nessuno, con una lingua che non sai, i primi anni sono stati duri a quei tempi era diverso, io ero considerato straniero. Nel ristorante dove ho iniziato a lavorare da lavapiatti, sono passato come aiutante cuoco, ma poi ho lasciato per andare a lavorare nei cantieri, come quasi tutti gli italiani a quei tempi. Il primo impatto è stato davvero molto duro, anche perché nella mia famiglia d’origine siamo 6 fratelli, io ero qui con mio padre e alcuni fratelli, quindi ho lasciato parte della mia famiglia in Italia, per venire in un ambiente totalmente diverso, che oggi apprezzo senz’altro, ma prima è stato uno shock. Crescendo però ho conosciuto meglio gli svizzeri. Hanno tantissimi pregi, devo ammettere, purtroppo, molto di più degli italiani, anche se io continuo a sentirmi più italiano.

Ma adesso sei svizzero?

Sì, ho il passaporto svizzero, e mi sento anche di comprendere meglio gli svizzeri. È vero che per noi e rispetto agli italiani, gli svizzeri sono un po’ freddi, ma quando li conosci meglio apprezzi i loro lati positivi, come l’onestà: uno svizzero magari è più freddo ma difficilmente ti prenderà in giro!

Come porti avanti l’italianità con i tuoi figli?

A casa nostra si parla l’italiano insieme allo spagnolo perché mia moglie è spagnola e al tedesco che i miei figli apprendono a scuola. Io sono molto legato all’Italia, mi piace cucinare italiano, facciamo vacanze in Italia, i miei figli seguono il calcio italiano, si sentono molto italiani e molto legati all’Italia, soprattutto la piccola.

A proposito dei tanti viaggi che hai fatto, hai visto molte culture, raccontaci…

Le esperienze estere le ho fatte soprattutto per seguire la mia passione, i reportage. Durante questi viaggi ho avuto grandissime lezioni di vita, come quando sono stato in Africa, o in Tailandia, in famiglie poverissime che però ti danno tutto quello che hanno, perché per loro l’ospite è sacro. Ho visto il valore della famiglia in Africa, lo stesso che decantato per noi italiani ma che stiamo perdendo se confrontato con l’Africa o la Tailandia: qui il rispetto per la famiglia e per gli anziani è più grande di quello nostro! Questi viaggi ci insegnano molto, a non giudicare prima di conoscere la storia di una persona solo perché viene da un altro posto, o fa un’altra cosa. Insomma personalmente questi viaggi mi hanno dato moltissimo, credevo di andare e dare qualcosa a loro, invece mi sono reso conto che io ho avuto e imparato moltissimo. Poi viaggiare in questi paesi dove parli con bambini che ti dicono che, se va bene, mangiano una volta al giorno e poi tornare in realtà di benessere come Zurigo è un impatto devastante perché passi dalla povertà più assoluta alla ricchezza.

Come sei riuscito?

Ogni volta tornare è difficile. Penso che ha aiutato la famiglia, senza mia moglie e i miei figli sicuramente oggi starei in un paese sperduto. Questi viaggi ti fanno apprezzare ancora di più quello che hai, il frigorifero pieno, la libertà di andare in giro ed esprimerti. Sono incredibili lezioni di vita, come quando ad un ragazzo di 18 anni gli dici “ti offro tutto quello che vuoi” e lui sceglie solo il pane… Fare viaggi per me è meraviglioso. Luoghi come l’Africa li porto nel cuore come anche i bambini, non ho mai visto un bambino così triste prima.

Cosa ti ha spinto ad intraprendere questi viaggi?

Faccio il vetraio di mestiere e grazie a quel che guadagno riesco a portare avanti i progetti che pago di tasca mia e che comprendono questi viaggi e i reportage. Sono ambasciatore per la Svizzera di Compassion, una Onlus che sostiene bambini, con circa 1’500’000 bambini in tutto il mondo. Collaboro anche molto con l’Italia, ad esempio, il progetto Ruanda è stato fatto con l’Italia, con la mia fotografia cercheremo di raccogliere fondi da mettere a disposizione di questi bambini per costruire dei bagni e tutte queste cose che per noi sono scontate, ma in posti come questo non lo sono. Per noi mandare un bambino a scuola è la cosa più normale al mondo, in Africa per tanti bambini è sogno. La fotografia non è il mio primo lavoro perché di reportage non si vive. Quello che ho più al cuore è una scuola di fotografia in italiano per italiani, inoltre mi piacerebbe aprire un circolo di fotografi italiani. Ho uno studio con dei ragazzi che mi seguono, il mio scopo e di insegnare come e cosa fotografare, oggigiorno tutti sanno fare una foto, ma sapere cosa e come è altro. Io credo nella fantasia dell’italiano e voglio offrire questi corsi proprio per questo.

In cosa consiste per te la “fotografia perfetta”?

La foto perfetta secondo me non esiste. Perché una foto che per me può essere perfetta per te può essere brutta. Deve cogliere l’attimo, secondo me esiste l’attimo perfetto. Quando un’immagine riesce a incollarti un paio di minuti per guardarla allora è perfetta. Ogni volta che vado in Africa e faccio le foto mi dico “questa è la migliore”, poi magari ne faccio un’altra e anche quella è perfetta… Un’immagine ben fatta racconta più di 100’000 parole.

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