Primo maggio 2018
Una storia. Tante storie. Leggende. Passioni. Ingegno. Sudore. Sacrificio. Ribellione e voglia di riscatto. Rivolta nel segno di una nuova presa di coscienza: il proletariato che si fa classe egemone e dà l’assalto al potere per abbatterlo e costruire una società di liberi e uguali.
È questo e tanto altro il primo maggio che si festeggia – come affermavano i vecchi e saggi contadini dei primi decenni del novecento, quando parlavi loro di eguaglianza e giustizia sociale – nell’anno 2018 dopo l’arrivo del primo socialista che osò parlare di fratellanza e solidarietà umana.
Il messia che osò sfidare e cacciare i mercanti corrotti dal tempio nel nome di Dio da cui diceva di discendere e venne travolto e giustiziato dal suo popolo nell’interessata indifferenza degli imperiali colonizzatori venuti da una terra lontana.
Chi vuoi salvare: il Nazareno o Barabba? Nulla di nuovo da allora: i popoli sottomessi hanno spesso scelto Barabba, il ribelle sconfitto a cui concedere il dono della vita al profeta che vuole liberarli dalla schiavitù.
Ho divagato sull’arduo terreno della memoria che risale alla notte dei tempi per allontanare il momento in cui aprire gli occhi sull’Europa e il mondo del ventunesimo secolo: gli eccidi di massa in tanta parte del centro Africa e del medio Oriente: milioni di uomini e donne portati a scegliere tra la morte violenta nella terra dei padri o nell’abisso del mare che affrontano nel sogno di un’ultima possibilità di sopravvivenza.
Il ritorno del nazionalismo sovranista: il mito della nazione rinchiusa nei suoi confini naturali: le montagne e i mari per salvarti dall’invasione dei nuovi barbari, che rispetto al passato, persino a quello dei nostri migranti con le valigie di cartone, arrivano nudi sul suolo della patria. Il risveglio di un razzismo che rifiuta il diritto alla differenza come il credo fondatore della pari dignità. Interpreta l’identità di un popolo come l’insieme indistruttibile dei tratti culturali definiti da una collettività (popolo, lingua, etnia, nazione). Ma l’identità di un popolo non è una sfera impenetrabile nell’immensità del cosmo: si è formata nel corso dei secoli attraverso la contaminazione delle tribù umane alla ricerca di un loro spazio vitale.
L’estinzione della cultura del lavoro: come creatività individuale e collettiva. Fu il tratto caratteristico di una comunità di uomini e donne protagoniste dello sviluppo della società industriale dell’inizio del ventesimo secolo. Il lavoratore, da membro di un collettivo protagonista, ridotto a numero a cui nulla è riconosciuto se non il salario al prezzo, troppe volte, della vita, su cui, ormai, è persino scomparsa una pelosa e solidale partecipazione umana.
E accanto alla cultura sta scomparendo il lavoro come tratto prioritario di una società che si sviluppa valorizzando e rinnovando le conoscenze acquisite nel corso di una lunga esperienza storica e umana. Il segno tangibile dell’imbarbarimento sociale: il precariato di massa al call center; il raccoglitore stagionale (migliaia senza volto come odierni sanculotti) di agrumi e ortaggi assoldato al costo di dieci venti Euro giornalieri nel nostro sud; l’immigrata rinchiusa nella buia stanzetta del casermone di massa di una qualsiasi cittadina della provincia bresciana intenta a ripulire la guarnizione di gomma, uno dei minuscoli manufatti per le auto targate Audi o Volkswagen. Da un tanto al chilo a due Euro per mille pezzi, in attesa del morbo mortale nascosto nella polvere cancerogena del gommoso pezzo. Il tutto, nell’indifferenza delle organizzazioni della società civile e della politica.
Sconosciuti lavoratrici e lavoratori a cui una vergognosa propaganda xenofoba e razzista vorrebbe far calare le colpe dei mali che affliggono l’Italia e le nazioni europee.
Tutti noi, emigrati e figli di emigrati, abbiamo vissuto tempi difficili, spesso drammatici, contrassegnati da umilianti discriminazioni.
Eppure, abbiamo combattuto e vinto: per noi e per una società progredita, solidale e migliore.
Presenziando con le lavoratrici e i lavoratori alle manifestazioni di questo primo maggio 2018, vorrei rileggere nei loro occhi la stessa volontà di combattere e vincere la sfida del ventunesimo secolo: una comunità europea unita nella pari dignità dei suoi popoli. Quelli che hanno contribuito al suo sviluppo valorizzando i saperi, la volontà, l’esperienza e la tradizione storica e umana di ognuno.