Dario Franceschini: “ce la possiamo fare”
Nessun cambio di nome per un nuovo partito, Nicola Zingaretti conferma la propria intenzione di voler fare il Segretario del Pd e per questo, intervenendo alla giornata conclusiva del seminario di Areadem a Cortona, spiega come non ci sta alle polemiche e alle caricature. “Una delle cose che dobbiamo conquistare è il confronto delle idee e non la denigrazione delle persone a prescindere dalle loro idee.
È evidente che io non voglio allearmi con i cinquestelle. Io i cinquestelle li ho sconfitti due volte, figuriamoci se voglio fare un’alleanza con loro ma io voglio capire, da chi ci ha abbandonato, perché lo ha fatto e ricostruire con loro un rapporto” ha spiegato il governatore del Lazio. Per ripartire Zingaretti considera anche nuove alleanze, “non è vero che tutto ciò che non è Pd è nemico del Pd. ‘Alleato’ è una bellissima parola”.
“Siamo convinti che si può vivere meglio in Italia, come partito dobbiamo cambiare per essere più credibili” afferma il Governatore e per far questo ci vuole “un nuovo riformismo con al centro il valore della persona, crescita ed equità per riconquistare il nostro popolo, produzione ricchezza e redistribuzione, un modello europeo diverso, con al centro la potenza della nuova generazione di italiani, i giovani che sono le prime vittime di questo pasticcio, a cui si nega un futuro possibile”.
“Dobbiamo aprire in fretta un grande cantiere per rigenerare e reinventare la forma-partito. Smettiamola con la ridicola contrapposizione tra di noi sul partito del territorio e partito della rete”, ha continuato Zingaretti aggiungendo: “Noi dobbiamo essere forti in tutte e due i campi. Tra noi diciamo: ‘torniamo nelle periferie con i circoli’ ma se andiamo nelle periferie ci accorgeremmo che l’80% dei ragazzi forma la propria coscienza, compra, legge e si informa dentro la rete. Il nuovo partito, le nuove forme della democrazia, impongono una riorganizzazione dei corpi sociali”.
Dunque, per Zingaretti ci vuole “un partito che, sulla rete, sia il migliore per combattere la sua battaglia”, ma occorre anche una “nuova idea nel rapporto tra collegialità e leadership. La dimensione collettiva è indispensabile se vogliamo un partito plurale. Abbiamo bisogno di strumenti collegiali e di leader che sappiano capire l’importanza dell’unità della comunità. Leader, che sappiano ascoltare e decidere. Un leader deve decidere, certo, ma anche ascoltare e rispettare”.
“Ce la possiamo fare”, ha detto Dario Franceschini rivolto a Zingaretti al termine del suo intervento di chiusura dell’incontro di AreaDem del Pd. No all’idea di un partito “legato al destino di un solo uomo”, afferma l’ex ministro ne approfitta per innescare la sua polemica contro l’ex premier Renzi, reo a suo tempo di non aver evitato la scissione di Pier Luigi Bersani e compagni dal partito. Così Franceschini ribadisce il suo No “alla retorica delle correnti come male di una comunità politica: non c’è nulla di più fastidioso del vedere fare la predica alle correnti da palchi di iniziative di correnti. Un partito in cui chi non è d’accordo con il capo è gentilmente invitando ad accomodarsi alla porta è un piccolo partito o non è affatto un partito”.
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