Le polemiche sanremesi, che solitamente non vanno al di là della settimana interessata, quest’anno hanno oltrepassato i propri standard coinvolgendo diversi opinionisti, allungando i tempi e il raggio d’azione. Cioè ad oggi, a più di dieci giorni dalla kermesse musicale, si parla ancora non dei brani, dello spettacolo, degli artisti, ma delle controversie sorte dopo la premiazione della canzone italiana vincitrice del festival 2019.
Tutto è partito con il messaggio social del ministro dell’Interno Matteo Salvini dove palesava il disaccordo sulla vittoria di Mahmood. Da quel momento tutti i seguaci del vicepremier hanno rimarcato e appoggiato il pensiero del premier: un non italiano non può vincere il festival della canzone italiana. I termini per esprimere questo pensiero sono stati svariati ma, parliamoci chiaro, è questo il nocciolo della questione. E nulla importa che il giovane rapper vincitore, all’anagrafe Alessandro Mahmood, sia di fatto italiano, nato e cresciuto a Milano da un matrimonio misto, il padre è egiziano e la madre è sarda. Ma la cosa non sembra interessare, è la parte non italiana che sembra pesare sulla questione.
Così nasce un vero e proprio caso e i giudizi e le critiche sono le più svariate fino a sfociare in una proposta di legge in cui si chiede alle radio nazionali di trasmettere più musica italiana. La legge firmata e depositata a Montecitorio porta al firma del presidente della Commissione Trasporti della Camera Alessandro Morelli (Lega). Il provvedimento fissa una “quota” per tutte le emittenti: il 33%. Ciò significa che su tre canzoni trasmesse in radio una dovrà assolutamente essere di un autore italiano. “La vittoria di Mahmood all’Ariston dimostra che grandi lobby e interessi politici hanno la meglio rispetto alla musica” dice all’AdnKronos Morelli. “Io preferisco aiutare gli artisti e i produttori del nostro Paese attraverso gli strumenti che ho come parlamentare”.
Dunque “il 10% dovrà essere dedicato ai giovani autori e alle piccole case discografiche”. Per Morelli “la musica non è solo un passatempo ma un racconto della nostra vita, della nostra cultura, dei momenti della vita, dei luoghi e dei sentimenti”, e inoltre “promuovere la musica italiana significa sostenere l’industria della cultura del nostro Paese e quindi le tante persone che ci lavorano”. L’idea del politico sembra essere condivisa da altri, anche musicisti e cantanti, a conferma che politica e spettacolo ormai si confondono. Tra questi ha preso parola Al Bano per il quale “occorre tutelare di più la nostra tradizione, come fanno gli altri Paesi”. Lui che il suo Sanremo nel 1984 lo vinse in coppia con la moglie che tanto italiana non sembra che lo sia.
La politica ormai ci ha abituati ad intromissioni inconsuete e spettacolarizzate. Chiuso il sipario dell’Ariston si apre quello dello spettacolo politico, anche se ormai non si riesce più a capire bene dove finisce lo spettacolo e inizia la politica.