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30 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

La ragazza di campagna e il povero ebreo

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Un  racconto di “PINO” Ambrosio Giuseppe

Storie da leggenda. Storie del bene e del male. Storie di ieri e di oggi.
Storie d’odio e d’amore. Solo storie. Eppure, tutte assieme, fanno la storia dell’umanità. Perché in ognuna vi è quel pizzico di eternità per cui vale la pena di vivere. Costruire con essa il messaggio universale per quelli che verranno attendendo un giorno, l’ultimo, l’attimo in cui il sole, consumato il braciere, si addormenterà nell’immensità dell’universo accompagnato dal pianeta terra a cui diede il calore e la luce perché fosse creata la vita e, quindi, la storia.
Storia di un ragazzo, la mia, che saliva sul pizzo Scalino scrutando laggiù, tra la bruma della valle padana, la grande Milano.
Storia immaginaria, ma non troppo, di Pino, un ragazzo di San Marco Argentano che saliva sulla vetta del Serra Dolcedorme per scorgere, da lassù, oltre l’orizzonte, i suoi due mari. E forse la caravella sui cui, un giorno lontano, come gli raccontò sua madre ogni sera, prima che lui si addormentasse avvolto dal calore delle sue fiabe, il padre se ne andò in un luogo lontano.
Storie. Sempre e solo storie. Il babbo che parte. E tu che osservi la littorina sparire, in una sera d’agosto degli anni cinquanta, laggiù oltre la collina che traccia il confine della valle amica, sperando che il babbo possa, come non sai, inviarti ancora uno sguardo d’amore.
Storie. Storie che nascono quando la luce del giorno lascia il posto alle ombre dell’Ave Maria e al buio della notte. Il sole è tramontato oltre le Montagne dell’Appennino Calabrese, ove per te, caro sconosciuto, vi sono le Colonne d’Ercole che tracciano la fine del mondo e forse tuo padre, le braccia aperte nel protettivo gesto d’amore. Storie. Storia di tua madre che si spegne come una candela nella penombra della sera e tu non cogli più nei suoi occhi che la tristezza e il languore degli anni in cui ella donò ad ognuno il calore materno, un soffio immortale d’amore.
Storie. E ancora storie. Una giovanetta. Un campo. Una fontana. Un salice piangente creato da Dio perché potesse versare lacrime sulle disgrazie e le cattiverie umane sino alla fine del mondo.
Un uomo solo e smarrito nel buio della campagna che fugge dal destino ignoto di tanti suoi fratelli annientati dalla furia bestiale, da far dire al rabbino della Sinagoga di Parigi in rue de la Victoire: beato tu che ancora puoi cercare la tomba ove riposa chi nel tempo ha creato la vita dei nonni e dei padri.
E tu, come Ulisse, nessuno, aggrappato alla sola speranza, hai vinto la sfida. Così racconta la leggenda di Davide che annientò l’immondo Golia con la fionda scagliata dal fato.

Golia alias Ferramonti, il campo d’internamento nazista alle porte di Tarsia, nella Calabria Cosentina. Il mostro ha raccolto i diversi – zingari, ebrei, e tanti altri colpiti da un odio infernale – per annientarli e abbeverarsi alla fonte dal colore del sangue.
Sul mondo è calata la notte di un gelido inverno polare.
E pur tuttavia un seme ha vinto il destino e carpito il flebile raggio di luce da cui è sgorgata la vita.
Una storia. Ancora una storia.
Un fienile per sfuggire alla bestia, all’immondo che vaga e ti vuole annientare.
Un corpo di donna appena sbocciato, nel corso degli anni in cui riempi il tuo cuore di aneliti.
E quegli occhi che aspettano l’ora in cui avresti smarrito lo sguardo nell’immensità del tuo sogno di donna.
Fu così che, in una notte invernale dei primi anni quaranta, nel caldo di un fienile della campagna cosentina si realizzò una scintilla di vita.
Lei crebbe nel seno materno sino a quando poté ammirare la luce del sole nascente dietro la grande montagna del massiccio Pollino.
Una storia.
Anch’essa una storia.
Chissà?
Il ragazzo, la scuola, la maestra, l’emigrazione.
Tante storie simili.
L’amore, la famiglia, il lavoro nella città sulla Limmat. Il ragazzo venuto dalla terra bagnata dai due mari ha portato quassù il calore del suo popolo.
Il destino volle che, accompagnando il passeggero dall’aeroporto alla città, scoprì sul suo volto i tratti di un arcano destino comune.
Indagò, il ragazzo ormai uomo.
Sino a quando, incrociando le storie, disvelò il mistero: conobbe suo padre.
Storia di una ragazza e di un povero ebreo.
Storia di un figlio concepito in un fienile riscaldato dal tepore del vecchio mulo da soma.
Non è Gesù il Nazareno.
È il racconto di Ambrosio Giuseppe, anche lui di San Marco Argentano.
Un uomo che canta “Immagine” per un mondo d’amore e senza frontiere.
[email protected]

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