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5 May 2024
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Cronaca

Le lingue dei secondos

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foto raviIntervista al linguista Raffaele De Rosa

Raffaele De Rosa è nato a Belluno ed è stato docente di Filologia germanica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Linguista e germanista, ha insegnato e insegna tuttora in diverse istituzioni della Svizzera tedesca. È autore di libri e articoli riguardanti il plurilinguismo e la filologia germanica.

È padre di tre figli bilingui italiano e tedesco, ciò ha dato un taglio più profondo e originale ai suoi studi e alle sue pubblicazioni,  avendo avuto modo di osservare nel quotidiano “l’acquisizione del tedesco e dell’italiano da parte dei suoi figli”, e potendo riflettere “su questioni linguistiche che riguardano direttamente la sua situazione familiare quotidiana”. L’intervista verterà sul suo libro “Riflessioni sul plurilinguismo – Un dialogo privato su un fenomeno pubblico in espansione (Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2009)”.

Il suo testo si differenzia soprattutto nella struttura e nella leggibilità: prende per mano il lettore e lo guida con un gioco di domande e risposte scritte in modo non specialistico. Può essere definito un vademecum per genitori italiani che come lei hanno figli bilingui (o plurilingui)?

Sì, in un certo senso sì, perché è basato sulla mia esperienza diretta. Le domande sono le stesse domande che avrei posto io agli specialisti e che mi sono state poste dopo dalla gente comune.

Cosa dovrebbero fare i genitori per sostenere al meglio il bilinguismo dei figli?

Semplicemente quello che molti già fanno: comunicare nella propria madrelingua con loro usando tutti i mezzi a loro disposizione, sia orali che scritti.

Cosa ne pensa dell’uso che molti ragazzi fanno di due lingue nello stesso discorso, della commutazione di codice (code switching)?

È uno dei tanti modi che i ragazzi bilingui utilizzano per esprimersi. È frequente sentire i cosiddetti “secondos” mescolare italiano e svizzero tedesco, ma questo avviene soprattutto fra di loro per affermare una propria identità biculturale. Ciò non significa che non sappiano esprimersi in una delle due lingue senza far ricorso all’altra quando è necessario. E comunque questo fenomeno avviene anche in Italia, quando si mischia italiano e dialetto senza che nessuno si scandalizzi.

Come dovrebbero comportarsi gli insegnanti di fronte al bilinguismo?

Dovrebbero essere un po’ meno puristi [sorridendo, n.d.r] e accettare anche le incongruenze ortografiche e le altre imperfezioni linguistiche che troppo spesso vengono condannate come errori gravi. Fra l’altro, imperfezioni presenti nella stessa misura nei testi dei cosiddetti monolingue.

Ci sono ragazzi bilingui che pur scrivendo molto bene, a volte inciampano in imperfezioni, incongruenze grossolane…

Ma questo va al di là della lingua in cui uno si esprime! Vale anche per il tedesco in cui sono scolarizzati e vale anche per i cosiddetti monolingue.

Nel suo libro parla di “potenziali plurilingue che potrebbero essere una ricchezza culturale ed economica, ma sottovalutati e addirittura denigrati secondo schemi e pregiudizi pedagogici senza fondamento”. Può fare un esempio?

Nonostante gli sforzi, i sistemi scolastici hanno un’impronta monolingue, e in questo contesto c’è poco spazio per una corretta valutazione dei bilingui (o plurilingui).  Un esempio: per una ricerca scolastica, un bilingue può attingere da fonti diverse e in lingue diverse. I miei figli hanno fatto diverse ricerche per la scuola svizzera facendo ricorso anche fonti scritte e siti internet italiani, ma tutto questo non è stato valutato nel giudizio complessivo della ricerca. Il fatto che sapessero anche l’italiano è stato considerato in genere come una competenza secondaria e quasi “esotica” nel contesto scolastico locale. Se questo atteggiamento è diffuso in un Paese plurilingue come la Svizzera, figuriamoci cosa succede in sistemi considerati “monolingui” come l’Italia, la Germania o la Francia.

Anche una buona parte dei nativi non padroneggia perfettamente la propria madrelingua, perché tanto accanimento sui bilingui, che sono le punte di diamante di una società?

Perché il bilinguismo è ancora confinato alla concezione di maledizione della torre di Babele che Dio ha punito! [sorridendo]. Io prediligo invece l’aspetto pentecostale! [sempre sorridendo]. Come è noto la conoscenza di più lingue è arrivata agli apostoli attraverso l’intercessione dello Spirito Santo, per i nostri figli basterebbe semplicemente che noi genitori usassimo in modo più consapevole le nostre lingue. Nella vita quotidiana delle persone certi miracoli linguistici avvengono spontaneamente anche senza l’intercessione scolastica.

Quali strumenti dovrebbero usare gli operatori scolastici per valutare la produzione linguistica dei bambini italofoni?

Io credo che a Scuola l’aspetto linguistico e grammaticale dovrebbe essere funzionale agli argomenti trattati e non fine a se stesso. Se osserviamo, invece, la nostra biografia scolastica notiamo subito che spesso abbiamo passato molte ore facendo esercizi di grammatica specifici nelle lingue straniere scolastiche, magari prendendo anche bei voti, ma che alla fine abbiamo terminato gli studi senza essere veramente in grado di usare in modo attivo la lingua appresa. Non credo che questo abbia senso per i bambini bilingui di origine italiana, credo piuttosto che gli insegnanti di questi corsi dovrebbero trattare temi culturali più generali (per es. Storia, Geografia, Letteratura) e lasciare che questi alunni utilizzino anche le altre lingue acquisite eventualmente in famiglia (per es. il tedesco, lo spagnolo, il portoghese, ecc.). Per esempio una ricerca sul Lago di Zurigo può essere condotta in tutte queste lingue ed esposta tranquillamente in italiano. Un’eventuale valutazione dovrebbe tenere conto comunque certamente di alcuni aspetti formali, ma, soprattutto, di quelli contenutistici.

Cos’è il bilinguismo primario?

Si verifica quando un bambino acquisisce spontaneamente le due lingue nella prima infanzia. Acquisisce, non apprende, perché l’apprendimento presuppone in genere un percorso didattico guidato di tipo scolastico.

Una certificazione pensata per stranieri (non italofoni) somministrata a questi studenti bilingui o plurilingui ha senso?

Non ha senso, sarebbe troppo riduttivo valutare le prestazioni di questi alunni in base all’uso di forme grammaticali e linguistiche che presuppongono un apprendimento spesso finalizzato solo per il superamento dell’esame e non un’acquisizione che dovrebbe durare, invece, per sempre.

 

Antonio Ravi Monica

 

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