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19 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

Mandi, Leo (Leonardo) Zanier caro amico e maestro

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Il bisbiglio di una folla in attesa. Talmente fievole e rispettoso del luogo da sembrarti uno spicchio di mondo convenuto alla prima di un atteso concerto.
Persino i saluti, tra chi si ritrova per assistere all’evento, sono espressi nelle forme e nei modi che si addicono al ferale momento. Rivedo dei volti da me conosciuti nel lungo cammino di vita tra i nostri emigrati.
Ognuno di loro, una storia vissuta, un racconto di vittorie e sconfitte scolpito nei visi segnati dal tempo e pur fieri di ciò che fu fatto nel corso degli anni perché si avverasse il messaggio d’unione e d’amore.
È presente una parte di popolo che ha convissuto l’idea.
Il vecchio consigliere di stato ticinese, a cui guardammo con l’orgoglio di veder realizzata la svolta. Rappresentanti politici e sociali della Svizzera operaia con cui, Leo, il protagonista, ha combattuto la battaglia dei liberi e giusti.
I collaboratori più vicini nel corso di mezzo secolo, cappeggiati da Guglielmo Bozzolini, l’attuale direttore della fondazione ECAP, che Leo fondò un giorno ormai remoto, perché si affermasse la speranza di un nuovo sapere.
Membri del parlamento italiano, Gianni e Claudio, a cui Leo affidò, da maestro attento e severo, la realizzazione di un nuovo rapporto tra l’Italia e la sua diaspora in Svizzera e nel mondo.
I cari di tutta una vita: la madre – Rosanna Ambrosi – dei primi due figli, Elisa, figlia sua e di Flora, la compagna di un lungo tratto di vita, scomparsa alcuni anni or sono, Anna, nipoti e parenti.  Silenzio. Ha inizio il concerto. Irrompe il canto libero delle sue composizioni per esprimere la gioia di un popolo che vive il mondo nella fierezza della sua storia. Non è una cerimonia funebre d’addio al caro estinto. E il protagonista è, ancora e sempre, lui.
La voce carnosa, il suono maestoso, se pur lieve, per accompagnare il racconto di un’ode d’amore alla sua terra.
I quadretti di Marco Mona, lampi geniali che racchiudono una storia: l’infanzia, la madre, la vetta più alta del suo Friuli, lo zingaro che scopre il mondo, si  indigna e ribella all’ingiustizia, costruisce pezzi di solidarietà umana.
Il pathos di Guglielmo Bozzolini racchiuso nella lacrima che sgorga a ricordare il maestro che forgiò il suo carattere per accompagnarlo nel corso della vita.
Ricordi, e ancora ricordi.
Il racconto di quando, impervio alpinista, scalò la vetta carnica del monte Coglians incontrando, alla sommità, il bergsteiger carinziano, con cui, vinto il primo impulso d’astio e rifiuto, improvvisò il primo comizio della fratellanza internazionale, rimanendone accecato e commosso.
L’esperienza in Marocco. L’impatto con larve di popolo afflitto. La Svizzera. La costruzione del nuovo che avanza. Il dirigente della Federazione delle Colonie Libere, l’esperienza romana nelle organizzazioni sociali. I corsi di formazione delle università estive a Sasso Marconi e altrove, arricchite dalla sapienza di tanti protagonisti, coordinati dai due inflessibili maestri: Leo Zanier ed Ettore Gelpi. Le escursioni europee per conoscere, apprendere e confrontare esperienze sociali e umane.
I quadretti di vita di Marco che descrivono l’uomo: le aspirazioni, le debolezze, la fiducia in quello che verrà, se lo saprai costruire con intelligenza e passione.
L’amore sviscerato alla sua terra: la Carnia, dalle cui montagne puoi osservare  l’infinito della grande pianura nel mentre ascolti il soffio del vento che porta i suoni di popoli lontani. La Carnia. Il suo casolare.
A lui così vicini da raccontarti con orgoglio, misto a una certa gelosia, la vicenda del figlio che ha scelto di ritornare contadino sulla terra del padre occupando l’antica dimora. Quasi un esproprio, nel suo sentire, pur amoroso e paterno.
Mi viene il dubbio che, per uno scherzo del destino o per un suo particolare fluido, sia stato lui a organizzare la cerimonia d’addio.
La compostezza dell’umana partecipazione nell’addio. Una religiosità laica  tutta racchiusa nel canto libero delle sue odi alla Carnia e al mondo.
Il segno dell’eternità possibile cullata nel grembo di una madre, trasmessa ai cari vicini e a quelli che verranno.
Ha lasciato una impronta. Trasmesso una speranza.
Chissà se, vagando nell’immensità dell’universo, incontrerà Pier Paolo Pasolini, il poeta che ha riempito di sapienza il suo animo giovanile.
Vorrei lo salutasse in nome di tutti noi. Abbiamo molte colpe da farci perdonare.
Mandi, mio amico e maestro. Che la terra ti sia lieve.

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