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27 April 2024
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Interviste

Mattmark: una pagina di storia dimenticata!

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Il 30 agosto è stata ricordata la tragedia di Mattmark del 1965, che costò la vita a 88 lavoratori addetti alla costruzione di una diga nell’alto Vallese, la più grande disgrazia avvenuta sul lavoro della Svizzera moderna e che ha coinvolto ben 56 italiani. In onore del 50° anniversario della sciagura sia in Svizzera che in Italia si è riparlato dell’avvenimento anche attraverso l’uscita del volume “Morire a Mattmark l’ultima tragedia dell’immigrazione italiana” (editore Donzelli). Pubblichiamo l’intervista che Leo Caruso ha realizzato per Radio Lora Italiana con Toni Ricciardi, storico dell’immigrazione presso l’Università di Ginevra, co-direttore della collana “Gegenwart und Geschichte – present et histoire” dal 2009, coautore del rapporto italiani nel mondo della fondazione emigranti, autore di saggi sulla storia dell’emigrazione in Svizzera (“Associazionismo ed emigrazione storia delle colonia libere ed degli italiani in Svizzera”, 2013 editore Laterza”)

A proposito di Mattmark lei ha affermato che la tragedia è una Marcinelle dimenticata…

È una Marcinelle dimenticata perché cambiò l’Europa. Siamo negli anni ‘70, in piena guerra fredda, nel ‘72 quando fu celebrato il processo e progressivamente questa pagina triste di storia fu dimenticata, da un lato dalla svizzera, che non ebbe alcun interesse nel ricordare questa tragedia, e dall’Italia impegnata ormai a raccontare al mondo il proprio boom economico. Il ‘75 è l’anno di crescita e ripresa dell’Italia nel secondo dopoguerra e quindi invece di raccontare la storia dell’immigrazione che continuava ad essere significativa per l’Italia, si preferì raccontare al mondo e a se stessi il fatto che l’Italia fosse divenuta la settima super potenza mondiale.

Quattro anni di lavoro di archivio e a quanto pare notevole difficoltà di accesso a questi archivi, soprattutto da parte elvetica…

Ci sono state difficoltà intanto nei tempi di attesa. Questo è un progetto finanziato dal connazionale elvetico, coordinato dall’università di Ginevra, c’erano tutti gli elementi di ufficialità istituzionale e tuttavia ci sono stati ritardi notevoli per avere accesso a dei dossier e a volte è anche capitato per alcune vicende di trovare parte dei dossier o interi dossier vuoti, privo di documenti.

Il lavoro è stato abbastanza complicato…

Non c’è stata da parte svizzera molta voglia di voler recuperare dall’oblio questa tragedia. Il lavoro che abbiamo cercato di fare è stato quello non di riaprire il processo o di mettere sul banco degli imputati qualcuno, ma quello di raccontare e storicizzare un fatto molto grave una pagina di storia molto importante non accusiamo nessuno…

Tornando a quegli anni, quali erano le condizioni di lavoro in questo cantieri che arrivò, addirittura ad avere più di mille addetti?

Nel ‘63 arriva ad avere 1300 addetti. Erano le condizioni degli anni ’60, nel cantiere si lavorava a ritmi serrati 15-16 ore al giorno e chi aveva voglia lavorava anche sabato e domenica compresi, addirittura ci sono stati episodi di gente che lavorava la domenica di Pasqua. Queste persone andavano a quota 2200m stanno chiusi nelle baracche e lavorano incessantemente. Parlando con i numerosi sopravvissuti sostenevano che si stava bene, c’era anche il letto in quelle baracche, ma quello che è stato tanto sottolineato è l’aspetto economico: lavoro altamente rischioso ma ben retribuito, leggermente superiore alla media degli altri luoghi perché i rischi erano altissimi… Dall’inchiesta dell’ufficio internazionale del lavoro, nel ‘69 la Svizzera era  il paese con maggior numero delle morti bianche.

Parliamo della verità processuale, se n’è discusso molto. Lei ha affermato che in qualche modo ci sono stati risarcimenti ma giustizia non è stata fatta.

Nel ’67 si apre il processo. La commissione d’inchiesta internazionale verrà istituita nel ‘72, 7 anni dopo la catastrofe. Difficoltà per nominare gli esperti: l’Italia rivendica una persona di parte nella commissione, gli viene negata dalla Svizzera perché è un affare elvetico e allo stesso tempo si cercano esperti internazionali. La commissione d’inchiesta arriva a dichiarare la catastrofe di natura naturale perché non si può prevedere un terremoto, ma allo stesso tempo l’alto numero di vittime è dovuto alla negligenza dei tecnici dell’epoca.
Baracche, officine, mense furono piazzate a linea d’aria sotto il ghiacciaio semplicemente per risparmiare dal punto di vista economico, furono accelerati e aumentati gli straordinari perché si stava viaggiando in ritardo. All’epoca Mattmark era la diga più grande d’Europa che si stava costruendo e il 30 di agosto non era un periodo nel quale che si doveva lavorare perché gli sbalzi di temperatura, le piogge, il caldo, sono cause di variabili che mettevano a serio rischio la sicurezza e la tenuta stessa del ghiacciaio. Purtroppo di tutto questo non si tenne conto, al processo in primo grado furono 17 imputati tutti assolti, condannati al pagamento di pene pecuniarie di mille, duemila franchi. I famigliari delle vittime ricorsero in appello e in secondo grado 17 imputati non solo vennero nuovamente assolti ma i famigliari delle vittime furono condannati al pagamento del 50% delle spese processuali. Ovviamente questa cosa destò scandalo e incredulità.
All’epoca era impensabile condannare il sistema, condannare gli imputati, l’Electra, la Suva, il Canton vallese avrebbe significato condannare un paese che due anni prima aveva vissuto Schwarzenbach, condannarli avrebbe significato appunto aprire una finestra pericolosa per quella fase storica…

Cosa può trovare il lettore nel suo libro?

Molto materiale inedito, quattro anni di lavoro d’archivio sono tanto, questo è stato mixato miscelato a decine e decine di testimonianze di sopravvissuti, più di un centinaio, per le quali c’è stata una bella collaborazione con l’associazione Bellunesi nel mondo che nasce nel ’66, proprio all’indomani di Mattmark, ricordo che Belluno è la provincia che ha avuto un maggior numero di vittime 17. Trova documenti, giornali, testimonianze dell’epoca, l’insieme di differenti fonti che si miscelano per raccontare questa storia dal punto di vista più ampio possibile, senza esprimere giudizi di merito, ma lasciando interrogativi. Noi vi raccontiamo la storia, vi raccontiamo quello che è accaduto, fatevi voi un’idea.

È rimasto sorpreso dall’attenzione mediatica, soprattutto da parte italiana, per quanto riguarda la vicenda di Mattmark? Come interpreta questo interesse?

È chiaro che quando uno scrive un libro è sempre preoccupato della resa. Da un certo punto di vista molto sorpreso, dall’altro la voglia era di replicare quanto accaduto nel 2006 con Marcinelle e non le nascondo che la soddisfazione maggiore è stata l’8 agosto quando l’Italia ha istituito proprio in onore di Marcinelle la giornata in memoria delle vittime italiane del lavoro nel mondo e il fatto che per la prima volta dopo decenni è stata accostata a Marcinelle anche Mattmark nei comunicati ufficiale dell’Italia è stata la più grossa soddisfazione. Il fatto che a partire quando parli con i cittadini in Italia o in Svizzera ricordino e ti sappiano dire cosa è accaduto in Svizzera in quel periodo, probabilmente è la soddisfazione maggiore che uno storio coltiva.

Leo Caruso

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