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2 May 2024
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STORIE di Gianni Farina

Una storia italiana dell’onore perduto

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“Signor Presidente, caro Gianni, desidero ringraziarLa per la magnifica accoglienza che avete 

riservato alla Delegazione Svizzera per le relazioni con il Parlamento italiano dal 26 al 28 Giugno.

Lo scopo della nostra visita era quello di rilanciare le relazioni parlamentari con la Sezione bilaterale di Amicizia Italia-Svizzera. Possiamo affermare che il viaggio è stato un successo. La qualità e la varietà degli incontri che avete organizzato per noi ci ha permesso di avere scambi fruttuosi con i nostri omologhi.

Abbiamo molto apprezzato il ricco programma e la visita del centro CARA (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Castelnuovo di Porto ci ha molto toccati.

Abbiamo potuto veder l’eccezionale lavoro fatto dal vostro Paese e renderci conto di quanto rimane ancora da fare.

Il tema delle migrazioni rimane una preoccupazione centrale per tutti gli Stati europei.

La preghiamo di trasmettere i nostri calorosi ringraziamenti anche alla sua collaboratrice Dottoressa Susanna Radoni, che con competenza e, soprattutto, molta pazienza ci ha accompagnati durante tutto il nostro soggiorno. Durante gli incontri è stato più volte espresso il desiderio di rafforzare questi legami parlamentari con incontri più frequenti e regolari.

Sarà quindi con molto interesse e piacere che attenderemo in Svizzera la vostra Sezione bilaterale.  Con viva cordialità.

Filippo Lombardi.

Consigliere agli Stati e presidente della Delegazione per le relazioni con i Parlamento italiano”.

Così, chi scrive, intratteneva i rapporti con i parlamentari svizzeri, a difesa degli interessi della nostra Patria e dei tanti cittadini residenti nella Confederazione Elvetica. I rapporti sono, oggi, inesistenti. Eppure vi sarebbe molto da fare, a cominciare dagli accordi sottoscritti per quanto riguarda i lavoratori frontalieri, attualmente, a quanto appare, congelati, il che fa sorgere il dubbio di un possibile disinteresse della parte italiana per la loro concreta attuazione. Potremmo ipotizzare: dopo il danno, la beffa. E ciò anche per quanto riguarda la vicenda di Campione d’Italia, il fallimento della Casa da gioco, la perdita del lavoro per le centinaia di addetti ed il temibile definitivo declino dell’enclave italiana in terra Elvetica. La lettera indirizzatami dal Presidente Lombardi nel 2016 fa un preciso riferimento al centro CARA di cui il ministro dell’interno ha ordinato la chiusura, trasferendo una parte dei 535 migranti richiedenti asilo in altre strutture sparse nella penisola, ed altri, abbandonati, (non avendone diritto, secondo una cinica distinzione tra migrazione economica e politica) ad ingrossare la massa grigia dei clandestini.

Fummo accolti al CARA dalla Direzione del centro.

Visitammo i dormitori, le aule scolastiche ove i rifugiati apprendevano italiano e nel contempo, l’essenzialità della storia d’Italia e della sua costituzione democratica.

Parlammo liberamente con molti di loro, ascoltammo vicende allucinanti di donne, uomini, famiglie, di tanti Ulisse che ce l’hanno fatta nel loro peregrinare verso una nuova terra promessa, di chi cadde nella polvere del deserto che non ha pietà per chi ha fame e sete. Desinammo con loro alla mensa, il refettorio laico per il pranzo frugale del primo pomeriggio. Fummo tutti noi, parlamentari italiani e delegazione Svizzera, consapevoli che il centro CARA fosse il simbolo di un successo nel lavoro di integrazione per i disperati fuggiti dalle guerre e dalla miseria del grande continente africano. La politica che non ha occhi per vedere e cuore per capire le disumane sofferenze degli esodi del ventunesimo secolo, ha imposto la fine del sogno. Fra di loro, un diciannovenne del Senegal, Ansou Cissé, con la voglia di apprendere (parla già la nostra lingua con la dolcezza di chi ha vinto la sfida di una nuova Patria) e la gioia del calcio ad un pallone. È il capo cannoniere dell’Athletica Vaticana, la sua squadra. Un tiro che è come il sibilo della saetta che si avventa sul povero abete.

È tornato al campo, il volto rigato da lacrime vere, a salutare i compagni del gioco che accumuna i ragazzi di tutto il pianeta.

Lasciategli un’ultima speme, dare il calcio d’addio al pallone perché vada oltre il verde e quel mare che lui attraversò, in un giorno non troppo lontano, pensando che vi fosse una terra ove poter viv ere da libero tra uomini liberi, ma tutto ciò fu solo un sogno spezzato.

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