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9 May 2024
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Interviste

Ebola: mentre in Africa l’epidemia era reale, in Occidente si diffondeva l’epidemia del panico!

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Intervista al dottor Fabrizio Pulvirenti, il medico italiano guarito dall’Ebola

Si è tenuta lo scorso venerdì, presso la Casa d’Italia di Zurigo, la conferenza che ha visto protagonista il dottor Fabrizio Pulvirenti, il medico catanese contagiato dall’Ebola, mentre prestava servizio medico volontario in un Centro medico gestito dall’organizzazione non governativa Emergency in Sierra Leone, e poi trasferito e guarito presso l’Istituto Nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma.
Durante la conferenza, presentata dal preside del Liceo Vermigli, Alessandro Sandrini, che ha visto la partecipazione di alunni e di professori dsc_0002del liceo, Pulvirenti ha tracciato un quadro generale degli aspetti socio-economici della nostra Terra.
Mostrando dati ufficiali, Pulvirenti ha dichiarato come “stiamo esportando le peggiori abitudini occidentali nei paesi dove si potevano evitare”, riferendosi a malattie come l’ipertensione o l’iperglicemia, ma anche al consumo di alcol. Sul soccorso medico, Pulvirenti ha accennato anche al fatto che “nei paesi a basso o medio reddito, i prezzi dei farmaci sono spesso proibitivi. In alcuni casi il prezzo dei farmaci può essere 80 volte superiore al prezzo di riferimento internazionale” o che “il 15% della popolazione mondiale consuma più del 90% della produzione globale di farmaci”.
Un altro punto interessante è stata la discussione sui conflitti bellici, in cui Pulvirenti ha illustrato come dal 1945 ad oggi, nei conflitti bellici, il 95% delle vittime siano stati dei civili, dato paragonato alla prima e alla seconda guerra mondiale, durante le quali, tra le vittime, rispettivamente il 15% e il 65% erano civili.
Questi aspetti socio-economici, come la povertà mondiale, la malnutrizione, ma anche la sanità o i conflitti bellici, sono importanti se si parla dell’epidemia dell’Ebola, che ha colpito l’Africa occidentale nel corso del 2014, causando oltre 11.000 morti.
In riferimento all’Ebola, Pulvirenti ha poi parlato del paziente 0, dell’attenzione mediatica, ma anche del decorso del virus, sottolineando come in realtà “Ebola sarebbe facile da contenere, è molto letale, ma poco contagiosa”. E sul perché, allora, sia stata possibile un’epidemia così diffusa, capiamo ancora una volta quanto influiscano gli aspetti socio-economici, poiché, se da un lato “la deforestazione favorisce la diffusione di questo virus”, dall’altro “ci sono delle multinazionali che comprano i diritti al legno e diamanti in Africa non in cambio di denaro, ma di infrastrutture. Evidentemente, non infrastrutture che servono alla popolazione, ma strutture come strade che poi servono alle stesse multinazionali per il trasporto delle merci”.

 

Numerose le domande poste dal pubblico, e dopo l’evento, organizzato dal dottor Giuseppe Privitera di Falkenconsulting e sostenuto dal Liceo Vermigli, l’Istituto italiano di Cultura di Zurigo e Moreno Baggieri della Zurigo Assicurazioni, anche noi abbiamo incontrato il dottor Pulvirenti e gli abbiamo posto le nostre:

 

La Sua è stata un’esperienza sicuramente drammatica, la Sua vita è cambiata in qualche modo dopo che ha sconfitto l’Ebola?
È inevitabile che la cambi, la vita, perché comunque ti trovi faccia a faccia con la tua morte. Si comincia poi, dopo la guarigione, a valutare molte cose sotto una luce completamente diversa, è inevitabile che un’esperienza del genere cambi le prospettive.

In “Zona Rossa” e “La mia battaglia contro Ebola” racconta della Sua esperienza, com’è stato per Lei rivivere questidsc_0012 momenti e condividerli con i lettori?
È stato un atto di coraggio, perché in questa testimonianza sono sviluppati anche aspetti molto intimi della vicenda, però ha avuto un effetto catartico, cioè, è stata la cosa che mi ha consentito veramente di superare quel momento. Io ho scritto il libro in un mese e mezzo, dopo la dimissione, ho subito voluto mettere per iscritto i miei pensieri e mi ha aiutato a superare quei momenti.

È tornato in Africa?
Non ancora, ma ci voglio tornare. In questo momento non posso, un po’ perché ho delle cose personali da sviluppare, un po’ perché non ci sono problemi che prevedono la figura dell’infettivologo, ma tornerò.

Com’è stato per Lei, da medico, ritrovarsi paziente?
È molto interessante, perché si sperimentano su se stessi gli effetti della malattia che si è cercato di controllare e che comunque è stata studiata sui pazienti. È come se ci si guardasse a uno specchio virtuale e si osservasse da questo, relativamente agli esami, alla clinica… c’è tutta una serie di passaggi.
Non ultimo, il momento in cui, per una questione di impaccio fisico, per il fatto che si è coperti, il collega non riusciva ad ascoltarmi le spalle e me le sono auto-ascoltate, comunicandogli poi quello che c’era. C’è stata una profonda collaborazione con i colleghi dello Spallanzani, per tutti ho un senso di riconoscenza enorme.

Sono morte oltre 11.000 persone per colpa dell’Ebola, l’attenzione mediatica è stata enorme. Secondo Lei, l’Africa ha avuto il giusto sostegno e la giusta attenzione che si merita?
Assolutamente no. In Europa, in realtà, il fenomeno Ebola ha iniziato a essere avvertito solo quando si è temuto il suo arrivo anche in Europa e negli Stati Uniti, cioè dopo che i primi occidentali sono stati contagiati operando in quelle zone. In realtà, Ebola è arrivato in occidente esattamente com’era previsto che arrivasse: non con i barconi, non con gli immigrati, ma con degli operatori sanitari che accidentalmente sono stati contagiati.

Secondo Lei ci sono delle responsabilità di alcune autorità che avrebbero potuto circoscrivere il numero di morti?
Sicuramente. L’OMS è intervenuta con un notevole ritardo, è stata poi l’ONU che ha preso in mano la situazione e ha finanziato le ONG per controllare l’epidemia.
Manuela Salamone

[email protected]

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