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27 April 2024
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STORIE di Gianni Farina

La Lorena di Emilienne e i suoi fratelli in un tempo che fu

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Vite di emigrati nelle terre del nero carbone

Nei primi anni novanti, dopo aver assunto la responsabilità della tutela sociale dei nostri cittadini in Francia per conto della Cgt-Cgil, oltre a tenere i rapporti politici tra l’allora DS e i socialisti francesi, giravo l’esagono in largo e in lungo per gli impegni organizzativi e di contatto con i tanti uffici della più importante organizzazione sociale di tutela e promozione delle lavoratrici e dei lavoratori.

Visitavo l’est alsaziano e della Lorena, ricco di una comunità nazionale alquanto in là negli anni e che aveva vissuto gli eroici decenni dei lavori in miniera. Il giorno e la notte avevano perduto ogni senso per questi straordinari lavoratori usi adempiere al loro dovere cento, duecento, trecento metri e più sotto terra in compagnia del grisù, che quando ti aggrediva era la fine e l’inizio dell’angoscia delle giovani vedove e dei loro figli.

Conobbi lassù, nel villaggio di Villerupt, la nostra responsabile per l’est della Francia, madame Bassani. Per i connazionali, che a lei si rivolgevano per riempire un modulo inviatogli dalla mairie (municipio), ricostruire una pratica pensionistica, chiedere un  aiuto o semplicemente un consiglio sul da farsi, anche nell’organizzazione delle riunioni associative in cui discutere programmi e iniziative per il bene della collettività, madame Bassani,  al di fuori dell’ufficialità, era Emilienne.

Lei che, appassionata della politica e protagonista dei processi partecipativi della comunità nazionale, era stata eletta nel consiglio comunale e svolgeva, con dedizione e intelligenza, il ruolo di adjoint au maire (vice sindaco), responsabile per gli affari sociali.

Emilienne, la passionaria.

Emilienne, che tutto sapeva sulle questioni previdenziali.

Emilienne, a cui nulla sfuggiva per scovare nel Code du travail il codicillo per un più avanzato diritto in favore dei lavoratori.

Emilienne, la cui vita potrebbe essere raccontata da un genio del neorealismo,   Luchino Visconti o giù di Lì.

Emilienne e i suoi cinque fratelli, cresciuti in quella casupola di legno, dimora dei genitori venuti dalla lontana terra friulana a cercare un lavoro e una nuova speranza di vita nelle terre in cui il paesaggio era dominato dalle colline di nera antracite e dalla nebbia, tanto fitta da sentirla sui pallidi visi di chi ha perso il senso e la gioia dei raggi di sole, quasi una sorella ancora più povera e derelitta.

Emilienne, preceduta dai cinque fratelli, a cui guardava con la tenerezza che si dona a chi ti solleva e abbraccia con l’amorevole trasporto che si dedica all’ultima arrivata, la pargoletta da coccolare in quel casolare dominato dai maschi e da una madre troppo indaffarata per potersi pienamente dedicare all’ultima pargoletta.

Emilienne, che durante la sua giovinezza ha visto i fratelli andare progressivamente in miniera, l’unica alternativa, allora, per gli emigrati a cui non fu possibile lo studio prolungato per uscire dal guado di un segnato e doloroso destino.

Emilienne e ancora Emilienne, che ti racconta quegli anni con un velo di tristezza,  pur se nascosto dal sorriso con cui svela il tempo dei luoghi e dei soggetti che hanno fatto la storia dell’emigrazione.

Emilienne, a raccontarti il senso di solitudine nella cittadina di Villerupt dopo la chiusura delle miniere e delle fabbriche metallurgiche, le cattedrali vuote del dopo grisù.

Allora c’era vita, nel villaggio.

E la domenica era festosa e piena del cicalio dei minatori in festa.

Emilenne, a rimpiangere un passato che non c’ è più. Anche se in quel passato sono scomparsi i cinque fratelli che l’avevano trastullata durante la sua giovinezza, colpiti dalla silicosi, il male terribile del lavoro nelle mine. Ti prendeva a tradimento, interrompendo il tuo respiro mentre eruttavi il catarro nero, perfido pegno alla nuova civiltà industriale del ventesimo secolo.

Emilienne e i suoi cinque fratelli – dove sei Visconti per pennellare (come in Germinale) i Rocco italici del nord oltre le alpi?- e pur tuttavia nostalgica di quel tempo che gli aveva rubato gli affetti più cari.

Un giorno le chiesi il perché dopo aver affermato un “per fortuna non c’è più”, ricevendone un’occhiataccia di disapprovazione e persino di rabbia.

Non avevo compreso l’essenziale: in quel sentimento c’era tutto l’orgoglio di una comunità e la cultura del lavoro, oramai scomparsa nella nebbia del tempo che viviamo.

La prossima settimana ricorderò i viaggi a Marsiglia, Nizza e poi Zena (Genova).

E sarà un’altra storia.

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